domenica 4 marzo 2012

DIDATTICA DELLE 150 ore: senza esclusioni

  DIDATTICA DELLE 150 ore, editori Riuniti, Marzo 1976
o di una organizzazione fondata sul concerto formalizzato di »vicinanza» (strutture topologiche = Topologia), ...,
si passa poi a insiemi con strutture multiple, 0 con relazioni di vario tipo. Insomma, per usare una immagine delgruppo Bourbaki, ciò che conta è la »architettura dellematematiche», non il materiale dei mattoni con i qualile teorie matematiche sono costruite.
La conoscenza di oggetti e fenomeni come convergenza di metodi diversi, e non come separazione in materie isolate le une dalle altre: ecco la rivoluzione copernicana che occorre operare nelle nostre menti per realizzare una unità interdisciplinare non soltanto nelle grandi occasioni, nei giorni di festa, ma nel lavoro quotidiano, dentro ogni specializzazione.
Fortunatamente, questa rivoluzione copernicana si é già verificata, e da tempo, nelle teste di molti docenti, e può oggi diventare un nuovo senso comune. Per quel che riguarda esperienze consolidate di insegnanti esperti, di interdisciplinarietà dentro la l0r0 specializzazione, mi limiterò a citare alcuni casi di matematici, perché è l’insegnamento del quale ho diretta esperienza.
Un esempio oramai classico, e ben noto anche fuori d’Italia, di insegnamento interdisciplinare nell’ambito di un metodo, è quello dell’insegnamento della matematica così come viene fatto da Emma Castelnuovo alla scuola media Tasso di Roma. Rinviamo ai documenti scritti, in particolare ai due volumi della collana Boringhieri di Didattica — Proposte ed esperienze nei quali vengono << fissate sulla carta » le esposizioni di matematica fatte dal collettivo degli allievi (senza esclusioni !!), nella primavera del 1971 e in quella del 1974 (il secondo volume e in corso di stampa mentre scrivo queste note).
Il lettore che visitera quelle bellissime esposizioni attraverso le pagine scritte, troverà della matematica pura, tanta matematica pura: curve e superfici colle loro equazioni in coordinate cartesiane (anche polari, talvolta); trasformazioni geometriche, quando possibile tradotte in
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equazioni; strutture algebriche non numeriche (gruppi, anelli delle classi, resto rispetto a un dato modulo); calcolo logico; coordinate baricentriche, probabilità semplicie composte...
Ma la matematica pura vive, nelle classi-laboratoriodi Emma Castelnuovo, nelle sue incarnazioni: é, insieme,matematica che serve per studiare la composizione dei
colori, o l’andamento di un fenomeno fisico, o le leggi di Mendel, o la colorimetria, o la » ottimizzazione » economica, o..
(...)
Le cose hanno, certo, una loro diflicoltà intrinseca. Ma l’approccio scolastico tradizionale riesce a renderle molto, molto più diflicili di quel che non siano se affrontate in diverso modo. L’approccio tradizionale é quello grammaticale e deduttivo, pedantesco, che capovolge il processo reale della scoperta.
La scuola non deve essere fatta di aule (Hòrsaal =aula per stare ad ascoltare, dicono realisticamente i tedeschi), ma di laboratori.  Il punto di partenza dell’apprendimento deve essere il problema, non la teoria bella e fatta, e la prima soluzione deve essere escogitata costruttivamente. 
Poi verrà, se verra, la sistemazione rigorosa, deduttiva, la teoria compiuta.
 (Archimede trovava aree e volumi con un metodo costruttivo, di tipo meccanico e infinitesimale; poi rendeva noti i risultati che cosi aveva raggiunti, partendo da essi, e dimostrandoli per assurdo.
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Perché mai chi impara non dovrebbe seguire la stessa via, lo stesso procedimento di chi crea?)
Il momento della lezione, per aprire. 0 chiudere un discorso, 0 anche per sorreggere e guidare durante il lavoro, è un momento importante, a mio avviso non eliminabile. Ma deve essere, appunto, un momento, non tutto il tempo della giornata di ¤lavoro scolastico. Questo vale,a mio avviso, in ogni scuola, anche all’università. Una prima, ancora assai incerta esperienza di Laboratorio di ricerca didattica affiancato al mio corso di lezioni di matematiche complementari 1974-75, ha destato interesse molto vivo tra gli studenti, che finalmente facevano loro, parlavano, proponevano, discutevano, invece di ricevere (silenziosi) parole, parole, parole. Occorre aggiungere che il carattere verbalistico della scuola, il primato che in essa ha il << dire » sul << fare », è terribilmente deformante da un lato (<< vien fuori della gente senza mani », dice spesso Giulio Cortini), dall’altro porta a un giudizio, a una scala di valori del tutto falsa. 
Le capacità di espressione linguistica, di memorizzazione, di astrazione non sottoposta a verifica sono il metro, principale se non unico, per misurare intelligenza e maturità. 
Tutta la parte intelligenza costruttiva (manualità coordinata, intuito tecnico, procedimenti euristici non rigorosi e procedimenti approssimati pratici, ecc.) non viene considerata quasi per nulla.
Siamo ancora la scuola della grammatica e della sintassi latina, non delle << applicazioni tecniche »; la scuola del rigore euclideo, non del problem solving.
Credo, a questo punto, di potere e dovere dire la mia sulla organizzazione generale, sulla struttura di un corso delle » 150 ore », per il completamento della istruzione obbligatoria di otto anni, o anche per livelli superiori.
In una fuse iniziale, si fa vedere come la soluzione di problemi particolari e locali rinvia alla conoscenza di strutture complesse, di leggi e fenomeni generali.
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